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I guai di Aig sono iniziati alcuni anni fa, quando entrò nel mercato dei credit default swaps vendendo questi titoli che garantivano contro le inadempienze di altri titoli. Il problema è che queste garanzie, per essere credibili, hanno bisogno di un buon livello di capitalizzazione dell'emittente che non c'era più. A fine agosto, Moody's minacciò di ridurre il rating, mossa nefasta per un assicuratore. Il 12 settembre, il Ceo Robert B. Willumstad si immerse nei conti e riemerse con una drammatica richiesta alla Fed: entro lunedì Aig doveva avere 30 miliardi o sarebbe stata la catastrofe. Man mano che i contabili finivano di fare i conti, i miliardi salivano a 40; settantadue ore dopo erano diventati 85.
All'1,30 del pomeriggio di martedì scorso il Tesoro e la Fed chiedevano un incontro con la leadership del Congresso e in un'ora di colloqui ottenevano il via libera. «È un affare pesante, pesante, pesante. Ma non credo abbiamo molta scelta», commentava il senatore Charles Schumer, democratico di New York, presidente della Commissione economica congiunta di Camera e Senato.
Il salvataggio, un prestito da 85 miliardi e l'80% delle azioni in garanzia, è stato giustificato in termini di solidità interna e difesa del risparmiatore americano. Il titolo Aig è uno dei più presenti nei piani di risparmio 401(k), una pensione integrativa. Ma anche qui, come nel caso di Fannie e Freddie, la vera molla che ha fatto scattare l'intervento è stato il quadro internazionale. Molti clienti dei credit default swaps sono all'estero, anche in Europa. In Asia, Aig ha il 40% del ramo vita e pensionistico, che procura premi per 54 miliardi: è assente in Giappone ma è molto presente in Cina dove venne fondata nel 1919 con capitali americani. Non poteva essere lasciata fallire.
Giovedì 18, la Fed inietta liquidità
La settimana che ha cambiato gli Stati Uniti, e i mercati, doveva riservare altri colpi di scena. La Federal reserve getta quasi 300 miliardi di dollari sui mercati con un'azione coordinata con altre banche centrali, Bce in prima fila, senza ottenere del tutto il risultato sperato. Ma è ben altro che deve concretizzarsi da qui a poco. Nel pomeriggio, attorno alle 15 ora americana, trovano conferma le voci insistenti che Washington ormai ha rotto gli indugi e sta preparando un piano di salvataggio di propozioni mai viste, per Wall Street e Main Street, per la finanza e la casa. Le voci si susseguono. Fino a quando arriva la conferma dal senatore Schumer che annuncia in aula al Senato: «La Federal Reserve e il Tesoro ritengono che occorre una soluzione più onnicomprensiva».
Venerdì, 19 settembre il Piano anti-crisi
Si tratta di un'operazione più vasta di quanto finora ipotizzato. Va ben oltre, ad esempio, il piano di salvataggio del settore immobiliare presentato alcuni mesi fa dall'economista ed ex capo dei consiglieri economici di Ronald Reagan, Martin Feldstein. Il Governo, venerdì 19, annuncia una nuova Resolution trust corporation, modellata su quella che 20 anni fa affrontò la crisi delle savings and loans e risanò il mercato immobiliare (allora il costo per i contribuenti fu di 124 miliardi di dollari). Un progetto che comprende un fondo per aiutare Wall Street ad uscire dal marasma dei titoli spazzatura (con il conferimento degli attivi sofferenti delle banche) e una garanzia per i fondi monetari.
Un piano ad ampio raggio, insomma, del valore stimato in 700 miliardi di dollari che si «somma» alle iniziative prese nei giorni scorsi: l'ulteriore allargamento delle regole con cui la Fed accetta collaterale di dubbio valore in cambio di titoli del Tesoro; il rifinanziamento, ad opera del dipartimento guidato da Paulson, della Banca centrale che ormai ha esaurito circa i due terzi del proprio capitale di 800 miliardi di dollari.
In mattinata peraltro, la Sec aveva annunciato il divieto di vendite allo scoperto su quasi 800 titoli. Le vendite allo scoperto hanno causato nei giorni scorsi i pesanti ribassi ad esempio di Goldman Sachs e Morgan Stanley. La decisione è stata accolta male dagli operatori, che sembrano essere mossi più dalle informazioni che giungono da Washington, che dalle spinte del mercato.
Sempre venerdì, il Tesoro dà via libera a una garanzia da 50 miliardi per i fondi monetari, strumento diffusissimo per il parcheggio della liquidità e fondamentale per il mercato dei capitali, che ha dato segnali di debolezza.
Si poteva agire prima? È difficile imporre regole di emergenza quando la coscienza dell'emergenza non è sufficientemente diffusa e quando solo il fallimento di Lehman e la svendita di Merrill, cioè solo la giornata del 14 settembre, hanno dato il segnale inequivocabile. È evidente che una valutazione realistica ha avuto difficoltà a farsi strada nel pensiero di Bernanke e Paulson. I quali tuttavia alla fine hanno agito.
Lo stesso presidente George W. Bush ha agito, e in un senso nettamente contrario alle sue idee, notoriamente liberiste. Finisce così un'era inaugurata con i primi passi della deregulation, negli anni di Carter, e trionfante con Reagan. Le nuove regole dovranno essere illuminate e non soffocanti. Il nuovo presidente, e sulla scelta dell'elettorato peseranno le drammatiche giornate di metà settembre e i loro costi, avrà un compito pesante. Wall street potrà rinascere, ma non sarà più la stessa.
mario.margiocco@ilsole24ore.com